RESTITUZIONE DELLE AGEVOLAZIONI IN CASO DI RIDUZIONE DEL LIVELLO OCCUPAZIONALE

Il DL 87/2018 entrato in vigore il 14 luglio 2018 prevede all’articolo 6 comma 1, che qualora un’impresa benefici di aiuti di Stato legati alla valutazione dell’impatto occupazionale e riduca il personale per motivazioni diverse dal giustificato motivo oggettivo nei 5 anni successivi alla data di completamento dell’investimento, perde tali benefici:

– in misura parziale, qualora la riduzione operata sia superiore al 10% del livello occupazionale,

– in misura totale, qualora la riduzione operata sia superiore al 50% del livello occupazionale.

Le nuove disposizioni, che necessitano di chiarimenti in sede ministeriale, si applicano a partire dai benefici concessi dal 14 luglio 2018.

IN GAZZETTA UFFICIALE IL DECRETO DIGNITA’’

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 161 del 13 luglio 2018, del decreto legge 12 luglio 2018, n. 87 è stata data attuazione al c.d. “Decreto dignità” che ha rivisitato in modo estremamente rigoroso l’intera disciplina in materia di contratti a tempo determinato.
Il decreto legge è già in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione e quindi da sabato 14 luglio: coinvolge i nuovi contratti a termine che si stipulano da questa data in poi, ma anche eventuali proroghe o rinnovi di contratti a termine già stipulati in virtù della previgente disciplina.
La norma è davvero di grande impatto poiché, contrariamente a quanto di solito accade, non prevede una disciplina transitoria tra le vecchie e le nuove regole.
Il testo del nuovo decreto 87/2018 ha come oggetto ““Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”” e come si è già detto nella fase di valutazione delle bozze del provvedimento, le nuove norme sono mirate a porre importanti limitazioni alla disciplina previgente in materia di contratti a tempo determinato, tanto che il Capo I del provvedimento titola “Misure per il contrasto al precariato”.
Si è già detto che questo intervento, è certamente mirato a ridurre l’’utilizzo del ricorso al contratto a termine, posto che ora la durata di un contratto a tempo determinato “acausale” , quindi stipulato senza una specifica motivazione, è ridotto a soli 12 mesi, con una durata massima che non potrà mai comunque superare i 24 mesi, se non attraverso uno specifico accordo sottoscritto presso la DTL o DPL competente.
La stipula di un contratto che eccede i 12 mesi, ovvero una sua proroga o un suo rinnovo, è però soggetta ad uno di questi vincoli, che limitano in modo significativo il ricorso a questa tipologia contrattuale:

– presenza di esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro;

– esigenze sostitutive;

– esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.

Le causali richieste per la stipula, la proroga o il rinnovo di un contratto a termine, devono dunque trovare una specifica identificazione in una delle situazioni sopra riportate. Ad eccezione della causale sostitutiva, che è chiara ed oggettiva, nelle ipotesi di incremento di attività extra-ordinaria ovvero ordinaria, l’’oggettività è più difficile da dimostrare, così come sarà difficile qualificare “significativo” ovvero “temporaneo” l’’incremento di attività ordinaria.
Queste stesse criticità erano già contenute nella vecchia legge 230/1962 a cui pare che il decreto legge 87/2018 si sia ispirato. Ciò significa però, che nei contratti individuali di lavoro stipulati a tempo determinato, che eccedono i 12 mesi, sarà necessario indicare con estrema attenzione la motivazione che ne ha legittimato l’’apposizione di un termine maggiore, motivazione che dovrà poi ovviamente trovare un puntuale riscontro nella realtà.
Un’’altra importante innovazione riguarda il numero delle proroghe ammesse: la previgente disciplina ne ammetteva un massimo di cinque, che ora sono state ridotte a quattro ed attenzione, all’atto di una proroga che fa scattare il superamento dei 12 mesi, è necessaria l’’individuazione della causa che rende genuino quel rapporto a termine.
Il mancato rispetto dei limiti di durata e proroga, rende il contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento dei limiti massimi ammessi (24 mesi o quattro proroghe), mentre l’’assenza della causale quando necessaria, rende il contratto a tempo indeterminato dalla stipula.
L’’impugnazione del contratto a termine è ora ammessa entro 180 giorni dalla cessazione del singolo contratto di lavoro e non più 120 come previsto in precedenza.
Va altresì evidenziato che il rinnovo di un contratto a termine, oltre a comportare il contributo aggiuntivo già in vigore per un normale contratto di questa natura pari ad 1,40%, prevede ora un’’ulteriore contribuzione pari a 0,50%, elevando l’onere complessivo aggiuntivo all’1,90%.
Come si è già detto, preme ricordare che le nuove disposizioni trovano applicazione

– ai contratti di lavoro a tempo determinato di nuova sottoscrizione,

– ma anche nei casi di nuovo rinnovo di contratti a termine in essere alla data del 14 luglio 2018.

Infine, per quanto riguarda invece le indennità risarcitorie legate ad un licenziamento rivelatosi poi illegittimo, lo stesso decreto dignità, all’’articolo 3 comma 1, innalza l’entità minima da 4 a 6 mensilità e l’entità massima da 24 a 36, aggravandone dunque ulteriormente gli effetti negativi in capo al datore di lavoro.
Pare opportuno segnalare che la nuova disciplina non è applicabile ai contratti a termine stipulati dalle pubbliche amministrazioni, ai quali continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti.

Si rimane a disposizione del Cliente per eventuali ulteriori chiarimenti in materia.

1° LUGLIO 2018: STOP ALLA QUIR IN BUSTA PAGA

La quota integrativa della retribuzione denominata QU.I.R., quota che corrispondeva al rateo di trattamento di fine rapporto maturato nello stesso mese in cui era corrisposto, cessa di essere erogato in busta paga, con decorrenza da luglio 2018.
L’articolo 1 comma 26 della legge di Stabilità 2015 (Legge 190/2014) – che aveva istituito la possibilità per il lavoratore dipendente del settore privato, di ricevere in busta paga la quota maturanda del TFR -, ha infatti cessato di produrre effetti lo scorso 30 giugno.
Poiché il legislatore non ha previsto alcun provvedimento di proroga o di reiterazione di tale disciplina, dal periodo di paga luglio 2018 tali quote seguiranno l’assetto previgente e pertanto saranno accantonate in azienda ovvero versate a forme di previdenza complementare, in relazione alle scelte formulate da ciascun lavoratore dipendente.
Si ricorda che è comunque possibile procedere ad anticipazione di quote di TFR maturate, ai sensi della vigente disciplina in materia (legge 297/82) ed avuto riguardo al dettato contrattuale; la richiesta di anticipazione come di consueto, deve essere sostenuta da specifiche motivazioni ed è formulata dal dipendente in forma scritta.

Decreto “Dignità”:gli Ultimi Ritocchi

Come si è visto, il testo del decreto avente ad oggetto “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese” prevede l’introduzione di evidenti limitazioni all’attuale disciplina in materia di contratti a tempo determinato; tuttavia, in queste ultime ore sono state apportate alcune modifiche, rispetto a quanto inserito nell’ultima bozza di provvedimento, precedentemente commentata. Si riepilogano dunque di seguito gli aspetti principali riportati nella versione del testo, che dovrebbe essere ora considerato definitivo e che si presume sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale a breve, dunque nei prossimi giorni. Rispetto all’attuale disciplina, la nuova norma – riduce da 36 mesi a 24 mesi la durata massima di un rapporto a tempo determinato, – permette l’assenza di una motivazione per la stipula di un nuovo contratto a termine, solo per una durata massima di 12 mesi, – prevede delle ipotesi specifiche e tassative in caso di contratti con durata superiore a 12 mesi, fino ad un massimo – come si è detto – di 24 mesi; il limite è raggiunto anche con proroghe o rinnovi di un contratto inizialmente previsto per una durata inferiore a 12 mesi; – introduce un contributo a carico azienda di 0,50% da aggiungere all’attuale contributo dovuto per questa tipologia di assunzioni, (fissato ad oggi nella misura di 1,40%), con un contributo totale dunque a carico azienda pari a 1,90%; – estende da 120 giorni a 180 giorni , il termine per procedere all’impugnazione di un contratto a termine. Trattandosi di novità di grande impatto – poiché introduce requisiti per la stipula di un contratto a termine estremamente limitativi rispetto all’attuale gestione di questa formula contrattuale – posto che il rapporto a tempo determinato rappresenta oggi una delle forme di flessibilità maggiormente utilizzate dai datori di lavoro per introdurre nuove risorse nelle proprie organizzazioni, si invitano i Signori Clienti a voler contattare lo Studio con cortese urgenza, in ipotesi di necessità imminenti di proroghe o di assunzioni di lavoratori a tempo determinato. Le nuove disposizioni trovano applicazione – ai contratti di lavoro a tempo determinato di nuova sottoscrizione, – ma anche nei casi di nuovo rinnovo di contratti a termine in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, (cioè dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale).
Attenzione, preme ribadire che tutto quanto sopra esposto alla data odierna non produce alcuna efficacia.
Si fa riserva di ulteriori istruzioni non appena la norma entrerà in vigore.

DECRETO “DIGNITA’”: LIMITI AL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO E AUMENTO DELLE INDENNITA’ RISARCITORIE IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO

Il testo del decreto avente ad oggetto “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese” prevede significative modifiche, mirate a porre evidenti limitazioni all’attuale disciplina in materia di contratti a tempo determinato, tanto che il Titolo I del provvedimento è infatti rubricato “Misure per il contrasto al precariato”. Per valutare con attenzione le modifiche apportate, è necessario che il testo sia pubblicato in Gazzetta Ufficiale; tuttavia, proprio perché l’impatto di tali novità incide in modo importante in termini di gestione ed organizzazione delle risorse da impiegare da parte delle aziende che utilizzano tale strumento, si ritiene opportuno anticiparne il contenuto èer poterne prevedere gli effetti. L’intervento, come si è detto, è indubbiamente mirato a ridurre l’utilizzo del contratto a termine, posto che da una prima lettura della bozza di decreto – che pare però essere stata già approvata ieri dal Consiglio dei Ministri – la durata di un contratto a tempo determinato acausale (quindi stipulato senza una specifica motivazione, come oggi sempre accade), si riduce da 36 mesi a soli 12 mesi. La durata massima invece, non potrà più essere pari a 36 mesi, ma solo a 24 mesi. Il rinnovo di un contratto che eccede dunque i 12 mesi, è però soggetto ad uno di questi vincoli, che si rivelano decisamente di grande impatto operativo:
– presenza di esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro; – esigenze sostitutive; – attività stagionali e picchi di attività; – esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
In buona sostanza, pare che l’attuale norma ritorni alle vecchie regole già previste dalla legge 230/1962, norma che – si ricorda – era estremamente rigida in materia di possibilità di stipula di contratti a termine; successivamente era stata sostituita dalla più snella ed efficace attuale disciplina, con un passaggio intermedio contenuto nell’allora decreto Fornero. Va altresì evidenziato che il rinnovo di un contratto a termine, oltre a comportare il contributo aggiuntivo già in vigore per un normale contratto di questa natura pari ad 1,40%, prevede altresì un’ulteriore contribuzione pari a 0,50%, elevando l’onere complessivo aggiuntivo all’1,90%. Le nuove disposizioni trovano applicazione – ai contratti di lavoro a tempo determinato di nuova sottoscrizione, – ma anche nei casi di nuovo rinnovo di contratti a termine in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, (cioè dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale).
Per quanto riguarda invece le indennità risarcitorie legate ad un licenzimento rivelatosi poi illegittimo, lo stesso decreto ne innalza l’entità massima da 24 a 36 mensilità, aggravandone dunque ulteriormente gli effetti negativi in capo al datore di lavoro.
Attenzione, preme ribadire che tutto quanto sopra esposto è oggetto di valutazione di un provvedimento in itinere, che alla data odierna non produce alcuna efficacia.
Si fa riserva di ulteriori istruzioni non appena la norma entrerà in vigore.